11 Marzo 2010
Cui prodest? A chi giova?

TORINO – A chi giova l’ennesimo attacco mediatico al consumo di latte crudo? A chi giovano mezze pagine di quotidiano su cui campeggia l’accorato appello “Non bevete latte crudo”? A chi giova trasformare un alimento sano, genuino e tutto locale in un caso di sicurezza nazionale?
Prima di provare a rispondere, cerchiamo di fare chiarezza su alcuni temi fondamentali.
Il latte crudo è un alimento “vivo” e – come molti altri cibi crudi – potrebbe presentare controindicazioni per talune categorie di consumatori: bambini al di sotto dei tre anni e soggetti immunodepressi o affetti da altre patologie. Questo non lo ha mai negato nessuno, anzi, su tutti i distributori di latte presenti nel Torinese è sempre stato scritto a chiare lettere. Detto ciò, non ci pare di aver mai letto alcuna indicazione simile in luoghi per la vendita di altri cibi a pericolosità analoga o superiore quali carne cruda, sushi, frutti di mare ecc.
Il latte prodotto oggi non è più come quello che producevano i nostri nonni: affermare che bisogna farlo bollire perché “mia nonna faceva bollire il latte”, significa mandare al macero almeno 50 anni di controlli sanitari e fingere di dimenticarsi che da decenni i nostri allevamenti sono indenni da brucellosi e tubercolosi, i veri motivi per cui la nonna faceva bollire il latte. Significa altresì fingere che gli allevamenti siano rimasti gli stessi e che i mungitori si accovaccino ancora a lato della vacca col secchio e lo sgabello di legno. E significa infine delegittimare coscientemente il lavoro di controllo che ancora esercita, in modo puntuale ed efficace, il servizio veterinario pubblico.
Il latte crudo è soggetto a una serie di costanti controlli sulla qualità e sulla sicurezza, sia da parte della stessa azienda produttrice sia da parte dell’autorità sanitaria, giunge all’erogatore in brevissimo tempo dopo la mungitura – rispettando rigidamente la catena del freddo – ed è sempre fresco di giornata. Si tratta di controlli molto più rigidi e costanti di quelli effettuati su molti altri alimenti che giungono al consumo attraverso filiere molto più complesse e rischiose.
Il latte crudo è l’unico alimento che non è oggetto di commercializzazione, ossia che può essere venduto al consumatore finale esclusivamente da chi lo produce, senza intermediario alcuno. L’acquisto di latte crudo da parte del consumatore direttamente presso la stalla che lo produce è stato consentito in Italia da un regio decreto del 1929 e non ha mai smesso di esserlo. La tecnologia ha semplicemente consentito a quel latte di uscire dalla stalla dell’allevamento per avvicinarsi, in totale sicurezza, al consumatore finale attraverso gli erogatori automatici.
Con qualsiasi trattamento termico il latte perde un’infinità di proprietà nutritive e nutraceutiche, le stesse che poi l’industria di trasformazione ci rivende, frazionandole in decine di prodotti diversi decantati per le proprietà probiotiche.
Ciò premesso, cerchiamo di capire a chi giova demonizzare il latte crudo e chi spera – speranza che ci auguriamo vana – di giungere a breve a vietarne totalmente il consumo.
Giova a tutti coloro che vogliono che i produttori di latte continuino a percepire pochi centesimi al litro e a dipendere totalmente e senza alcuna voce in capitolo dall’industria di trasformazione.
Giova a tutti coloro che vogliono che il consumatore non sappia più riconoscere il giusto valore di ciò che consuma e non si fidi più di alcuno che non sia un marchio della grande industria o del grande commercio.
Giova a quel sistema che ha fatto sì che non esista più alcun rapporto tra il prezzo di vendita e il valore intrinseco di un prodotto, e men che meno ai suoi reali costi di produzione; a quel sistema cioè che ha fatto diventare “normale” l’assurda enormità di un mercato che propone una tazzina di caffè a 90 centesimi di euro e un litro di latte fresco pastorizzato a 80 centesimi, in bella vista sugli scaffali della grande distribuzione dietro al cartello “promozione” o, peggio ancora, “sottocosto”. E che così facendo sostiene di venire incontro ai consumatori, mentre in realtà si limita ad attirarli con specchietti per le allodole – non a caso si chiamano “prodotti civetta” –, noncurante del fatto che in tal modo manda a rotoli definitivamente un intero settore dell’economia nazionale.
Giova a tutti coloro che non vogliono la trasparenza delle filiere e l’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine della materia prima, per poter così continuare a spacciare per “Made in Italy” qualsiasi cosa di qualunque provenienza.
Giova a tutti coloro che pensano che in Italia non abbia più senso produrre prodotti agricoli di largo consumo, ma soltanto preziosissimi prodotti d’eccellenza, frutto di poche oasi felici in mano a pochi imprenditori felici, spesso lontani anni luce dalla vecchia imprenditoria familiare agricola.
Giova a tutti coloro che hanno capito che se produttori e consumatori riducono le distanze che artificiosamente li separano, iniziano a guadagnarci entrambi e a capire che si può far a meno di un sacco di intermediazioni e sovrastrutture che hanno sempre speculato e lucrato su ambedue.
Di sicuro, questi attacchi al latte crudo non giovano a chi ha davvero a cuore la salute dei consumatori e dell’economia reale del Paese reale.
Se vinceranno coloro che vogliono vietare la vendita e il consumo di latte crudo, avranno vinto coloro che vogliono negare il diritto del consumatore di fare scelte consapevoli, che vogliono svincolare totalmente i prodotti dal territorio e che considerano pericolosissimo che il consumatore possa abbinare al prodotto il nome e la faccia del produttore vero e non un marchio commerciale e un’irreale figurina patinata.
Se ciò succederà, piangeremo tutti sul latte versato. Ma sarà troppo tardi.
Riccardo Chiabrando
presidente Coldiretti Torino

Questo contributo arriva a seguito della pubblicazione sul quotidiano La Stampa del 27 febbraio 2010, a pagina 57 della cronaca di Torino, di un articolo intitolato “Non bevete latte crudo. È rischioso per la salute”.

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