15 Febbraio 2022
Cinghiali, “Come rendere più efficaci i contenimenti”

Gli abbattimenti dei cinghiali nel Torinese sono del tutto insufficienti. Si moltiplicano i danni alle coltivazioni ma, soprattutto, incombe lo spettro del virus della Peste Suina Africana che richiede un drastico sfoltimento dei branchi per evitare la propagazione, di cinghiale in cinghiale, e mantenere l’epidemia confinata nei boschi dell’Ovadese.

Il controllo del cinghiale si porta dietro troppa burocrazia. La cattura dei cinghiali è normata dalla legge nazionale sulla tutela della fauna selvatica (che è del 1992), che è, a sua volta, applicata dalla leggere regionale sull’attività venatoria e dal conseguente regolamento, sempre regionale. Il regolamento regionale è applicato da un Piano di contenimento regolamentato dalla Città Metropolitana di Torino.

«In questo momento di reale rischio per la propagazione della Peste Suina Africana – sottolinea Ornella Cravero, titolare dell’omonima azienda agricola di Casalborgone e membro della giunta di Coldiretti Torino – chiediamo alla Città Metropolitana di attuare misure straordinarie. Devono essere finalmente attivati tutti i soggetti che abilitati a svolgere un compito utile ad abbassare drasticamente il numero dei cinghiali: i cacciatori-selecontrollori ma soprattutto gli agricoltori formati per la difesa dei propri terreni. Tutti i metodi utili indicati dalla Città Metropolitana vanno messi in campo. Parliamo di tiro notturno con fonti luminose e di gabbie per la cattura e il successivo abbattimento. La Città Metropolitana ha svolto i corsi di abilitazione per i proprietari e conduttori di fondi che possono intervenire direttamente, adesso è ora che entrino in azione».

Per Cravero, che è anche rappresentante Coldiretti in Ambito Territoriale di Caccia, la pressione sui cinghiali deve essere esercitata in tutto il territorio senza esentare le aree protette. «I cinghiali devono essere abbattuti anche dentro i parchi naturali e nelle Zone di protezione con divieto di caccia instituite dalla Città Metropolitana. Non possiamo permettere che si creino delle aree rifugio dove spostiamo il problema. Nelle aree protette intervengono i guardiaparco ma ai Parchi chiediamo che gli interventi siano meno saltuari. Nelle Zone di protezione i cacciatori non possono cacciare nemmeno i cinghiali: possono intervenire solo i guardiacaccia della Città Metropolitana o i selecontrollori su indicazione dell’Ente. In un momento eccezionale come questo, con la peste suina che può arrivare anche nel Torinese bisogna dare la possibilità di abbattere cinghiali su tutto il territorio utilizzando tutti i soggetti titolati».

Sotto accusa anche i tempi di “reazione” troppo lunghi previsti dal regolamento. Ci sono troppi passaggi di comunicazione che ritardano la risposta rapida là dove i cinghiali stanno colpendo i campi. I passaggi sono questi: il coltivatore al mattino si accorge dei danni notturni, lo segnala agli uffici Coldiretti del suo Comune o della sua Zona. L’ufficio Coldiretti segnala il danno e la sua ubicazione attraverso una mail alla Città Metropolitana. A questo punto, l’Ente decide se inviare il proprio personale oppure delegare l’intervento all’Ambito Territoriale di Caccia di competenza. Se tocca all’ATC, questa chiama il primo selecontrollore disponibile sul territorio perché si rechi nottetempo sul campo ed effettui l’abbattimento. «Una trafila troppo lunga. Dalla segnalazione del danno all’intervento trascorrono due, anche tre, giorni: capita che i cinghiali abbiano distrutto tutto e non si facciano più vedere».

A questo punto non sarebbe più semplice fare intervenire direttamente l’agricoltore autorizzato ad abbattere i cinghiali sul proprio fondo?

«Infatti, ormai sono tanti i proprietari e conduttori formati a autorizzati, con tanto di porto d’armi. Ma anche qui, il Piano di contenimento prevede troppi passaggi che allungano i tempi di risposta. L’agricoltore autorizzato, prima di intervenire sul proprio fondo deve comunque aspettare l’intervento del personale della Città Metropolitana o dei selecontrollori dell’ATC. L’agricoltore può intervenire direttamente solo se, trascorse 72 ore dalla segnalazione, guardiacaccia o cacciatori abilitati non riescono ad abbattere i cinghiali».

Quale sarebbe la soluzione?

«In un momento così eccezionale si deve eliminare questo intervallo di 72 ore. I proprietari e conduttori dei fondi hanno frequentato uno specifico corso, hanno anche sostenuto l’esame per l’abilitazione venatoria e il conseguimento del porto d’armi, perché dobbiamo farli aspettare 72 ore?».

Ci sono poi le gabbie di cattura che, disseminate sul territorio permettono di catturare più cinghiali in una notte…

«Agli agricoltori vengono consegnate delle gabbie di cattura, trappole a scatto che catturano il cinghiale vivo. Ma una volta catturato deve intervenire un’altra figura: il cosiddetto “tutor”, che altro non che un selecontrollore attivo in zona che arriva a seguito della cattura ed è autorizzato ad abbattere l’animale. Chiediamo che i tutor siano autorizzati ad intervenire su chiamata diretta dell’agricoltore che ha catturato il cinghiale. Io, per esempio, sono autorizzata a detenere le gabbie. Se una gabbia cattura un cinghiale vorrei poter chiamare io il tutor più vicino: in questo modo nel giro di pochissimo il cinghiale sarebbe abbattuto e la gabbia pronta per una nuova cattura. Invece, anche qui, dobbiamo sottostare a tempi morti e burocrazia che in questo momento non sono tollerabili».

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