È allarme prezzi-pazzi per tutti i generi alimentari.
I rincari sono partiti dalle materie prime e stanno toccando anche il cibo mentre non aumentano i salari, gli stipendi e le parcelle delle piccole partite IVA.
E mentre non aumenta nemmeno il reddito per gli agricoltori, che stanno vendendo i prodotti a prezzi, in molti casi, inferiori ai prezzi di costo.
Le quotazioni delle materie prime alimentari hanno raggiunto a livello mondiale il massimo da oltre dieci anni, trainati dai forti aumenti per oli vegetali, zucchero e cereali sotto la spinta dei pesanti rincari dei costi di produzione favoriti dai prezzi dell’energia. È quanto osserva la Coldiretti in riferimento ai dati sul balzo dell’inflazione nella zona Ocse ai massimi dal 1997, sulla base dell’Indice Fao a novembre 2021.
Si tratta del valore massimo dal giugno 2011 per effetto di un incremento del 27,3% rispetto allo stesso mese dello scorso anno con l’indice Fao che è salito al valore di 134,4 punti.
A tirare la volata sono i prezzi internazionali dei cereali cresciuti del 23,2% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, mentre i lattiero caseari salgono del 19%, lo zucchero aumenta di oltre il 40% ed i grassi vegetali sono balzati addirittura del 51,4% rispetto all’anno scorso.
A farne le spese sono tutti i prodotti alimentari che devono utilizzare mangimi (allevamenti) o ingredienti (industria e artigianato del food).
Gli aumenti delle materie prime alimentari sono a loro volta la conseguenza degli aumenti dei carburanti e delle materie prime dell’industria chimica e manifatturiera.
Prendiamo ad esempio il mercato del vino.
Il vino italiano viene venduto a quasi un terzo in meno (-29%) di quello francese nonostante l’enorme apprezzamento dei mercati mondiali.
Il vino è uno dei prodotti che risulta maggiormente penalizzato dalla crescita dei costi di produzione. In questo caso incidono i rincari internazionali di vetro, tappi, etichette oltre all’ energia e ai trasporti.
Le quotazioni del vino italiano – sottolinea la Coldiretti - hanno raggiunto in 25 anni un valore medio di 3 euro all’esportazione, con un incremento del 129% arrivando a tallonare la Francia che nello stesso periodo ha segnato un calo del 15% e oggi vale 4,2 euro. Permane comunque un gap che penalizza le aziende vitivinicole che sono costrette a chiedere un adeguamento dei listino a fronte dei rincari evidenziati anche dall'Unione italiana vini (Uiv). Una necessità, per sostenere un settore determinate dell’agroalimentare Made in Italy che dalla vendemmia alla tavola offre opportunità di lavoro a 1,3 milioni di persone impegnate direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale, sia per quelle impiegate in attività connesse e di servizio.