2 Febbraio 2022
Perché la Peste Suina Africana non attacca l’uomo

Il virus della Peste Suina Africana non può trasmettersi all’Uomo. Consumare costine, braciole ma anche salami, prosciutti crudi che dovessero contenere il virus non comporta nessun rischio per la nostra salute.

Il perché lo spiega il professor Sergio Rosati, docente del Dipartimento di medicina veterinaria dell’Università di Torino, esperto di malattie infettive negli animali.

Professor Rosati che genere di virus è quello della Peste Suina Africana?

«È un virus un po' a sé stante perché è l'unico rappresentante della sua famiglia, gli Asfaviridae. Come tutti i virus con genoma a DNA, è un virus molto stabile. A differenza del virus, per esempio, del Sars-Cov 2, che produce rapidamente diverse varianti, il virus della PSA è sostanzialmente stabile e non ha mai presentato varianti da quando lo conosciamo, cioè da oltre 70 anni».

Tornando alla differenza con il Covid, questo virus non attacca un apparato specifico dell’animale?

«Quello della PSA è un virus che tende ad infettare cellule che sono presenti in molti  tessuti e  apparati dell’organismo animale. Infetta  la linea dei monociti del sangue e dei macrofagi, e siccome queste cellule si trovano in diversi tessuti tende a diffondersi e in molti distretti dell'organismo».

Sappiamo che il virus umano del Covid entra nell’organismo attraverso le micro goccioline che si assumono con la respirazione. Virus della PSA come si trasmette da cinghiale a cinghiale?

«Questo virus, di solito, entra nell’organismo per via orale o nasale: il cinghiale mangia resti alimentari di carne suina infetta. Ma può anche entrare per via transcutanea cioè attraverso la puntura di un particolare genere di zecche, le zecche molli del genere Ornithodoros, diffuse in Africa ma anche in alcuni paesi europei come la Spagna, zecche che hanno contratto a loro volta il virus parassitando suidi infetti. Appena fa il suo ingresso nel corpo il virus si lega alle cellule del sangue per colonizzare nuovi tessuti nel giro di pochi giorni: lo troviamo particolarmente concentrato nel sangue, nella milza, nei linfonodi e nel midollo osseo da cui si generano i sintomi più gravi febbre elevata, emorragie e sintomi nervosi nelle fasi terminali».

Questo virus può compiere il cosiddetto “salto di specie”?

«È un virus che, partendo dai facoceri parassita solo i suidi, quindi cinghiali e maiali domestici. Quindi il salto di specie l’ha fatto ma solo tra organismi abbastanza simili. Il facocero infetta la zecca che, a sua volta, infetta un altro facocero; in questo modo i facoceri hanno sviluppato meccanismi evolutivi che gli permettono di ospitare il virus senza necessariamente ammalarsi. Ospite e parassita sono così in equilibrio. Ma, dai facoceri è riuscito a passare ai maiali. Con i maiali contaminati provenienti dall’Africa il virus ha compiuto in passato diverse incursioni in varie parti del mondo attraverso residui alimentari infetti di trasporti internazionali. Più recentemente, a partire dal 2007, è comparso sulle coste orientali dal Mar Nero, dando origine ad una delle epidemie più  gravi  che si ricordino, con un fronte epidemico che ha interessato cinghiale e suino domestico, propagandosi sia ad oriente che occidente. E’ cosi giunto in Europa dove ha trovato l’organismo compatibile del cinghiale. Così, spinta dalla necessità di replicarsi in un ambiente nuovo, dalle cosiddette “specie serbatoio” la PSA è riuscita a saltare in altre specie ma sempre appartenenti alla famiglia dei suidi».

Ma se ha fatto il salto di specie facocero-maiale e poi maiale-cinghiale, perché non potrebbe passare all’Uomo?

«Immaginiamo il virus come una chiave che apre una serratura per entrare nelle cellule e replicarsi. Ecco, questo virus possiede solo la chiave per aprire le serrature delle cellule dei suidi. Esperimenti condotti in vitro hanno dimostrato che non riesce a entrare in cellule di altre specie. La proteina del virus che media l’adsorbimento, quindi il legame, con la cellula ospite è molto specifica e riconosce solo le proteine dei suidi e della zecca molle».

Ma perché la proteina che il virus usa per legarsi ed entrare in una cellula del cinghiale non dovrebbe riconoscere una proteina simile presente nelle cellule umane?

«Perché le proteine possono anche essere abbastanza simili ma non sono proprio le stesse. Il virus della Peste Suina Africana possiede un genoma a DNA. I virus a genoma DNA tendono a rimanere stabili e a non produrre varianti. Non c’è quel rapido adattamento attraverso le mutazioni che, per esempio, stiamo osservando nei Coronavirus. Il virus che isolavamo 40 anni fa è lo stesso che isoliamo adesso. Al massimo osserviamo dei genotipi, cioè linee geniche diverse, ma il genoma vero e proprio tende a non modificarsi nel tempo e questa è proprio una caratteristica dei genomi virali a DNA».

Ma perché non produce varianti?

«Perché si è adattato perfettamente a convivere con il suo “reservoir” rappresentato  dai facoceri africani in migliaia di anni di co-evoluzione,  riuscendo a colonizzare con facilità specie affini, come il cinghiale o il suino domestico. La chiave giusta per aprire le serrature dove può replicarsi ce l’ha già, non gli serve fabbricarne una nuova».

 

I MERCATI DI CAMPAGNA AMICA A TORINO E IN PROVINCIA

     

Progetto Info PAC

INFO PROGETTO PAC: Apri l'articolo    

Leggi tutti gli articoli

Leggi tutti gli articoli

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi